Ep. 270 - Papale papale - “Linguaggio“

Francesco, Angelus 1 gennaio 2023 Fratelli e sorelle, come tutte le mamme, Maria porta nel suo grembo la vita e, così, ci parla del nostro futuro. Ma allo stesso tempo ci ricorda che ... se vogliamo ricostruire speranza, occorre abbandonare i linguaggi, i gesti e le scelte ispirati all’egoismo e imparare il linguaggio dell’amore, che è prendersi cura. Prendersi cura è un linguaggio nuovo, che va contro i linguaggi dell’egoismo. Questo è l’impegno: prenderci cura della nostra vita – ognuno di noi deve curare la propria vita –; prenderci cura del nostro tempo, della nostra anima; prenderci cura del creato e dell’ambiente in cui viviamo; e, ancor più, prenderci cura del nostro prossimo, di coloro che il Signore ci ha messo accanto, come pure dei fratelli e delle sorelle che sono nel bisogno e interpellano la nostra attenzione e la nostra compassione.  Benedetto XVI, discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura 13 novembre 2010 Parlare di comunicazione e di linguaggio significa, infatti, non solo toccare uno dei nodi cruciali del nostro mondo e delle sue culture, ma, per noi credenti, significa avvicinarsi al mistero stesso di Dio che, nella sua bontà e sapienza, ha voluto rivelarsi e manifestare la sua volontà agli uomini (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2). In Cristo, infatti, Dio si è rivelato a noi come Logos, che si comunica e ci interpella, allacciando la relazione che fonda la nostra identità e dignità di persone umane, amate come figli dall’unico Padre (cfr Es. ap. postsinodale Verbum Domini, ). Comunicazione e linguaggio sono anche dimensioni essenziali della cultura umana, costituita da informazioni e nozioni, da credenze e stili di vita, ma anche da regole, senza le quali difficilmente le persone potrebbero progredire nell’umanità e nella socialità. Giovanni XXIII, radiomessaggio ad un mese dal Concilio Ecumenico Vaticano II 11 settembre 1962 L’uomo cerca l’amore di una famiglia intorno al focolare domestico ; il pane quotidiano per sè e per i suoi più intimi, la consorte e i figliuoli ; egli aspira e sente di dover vivere in pace così all’interno della sua comunità nazionale, come nei rapporti con il resto del mondo; egli è sensibile alle attrazioni dello spirito, che lo porta ad istruirsi e ad elevarsi; geloso della sua libertà, non rifiuta di accettarne le legittime limitazioni, al fine di meglio corrispondere ai suoi doveri sociali. Questi problemi di acutissima gravità stanno da sempre sul cuore della Chiesa. Perciò essa li ha fatti oggetto di studio attento, ed il Concilio Ecumenico potrà offrire, con chiaro linguaggio, soluzioni che son postulate dalla dignità dell’uomo e della sua vocazione cristiana. Paolo VI, udienza generale 29 ottobre 1975 Due termini ottimi noi incontriamo nel linguaggio contemporaneo, quasi sostitutivi della troppo severa parola di « dovere »: coscienza e responsabilità. Ottimi diciamo, se collegati con le realtà, che questi termini comportano; le realtà trascendenti della legge di Dio e della compagine naturale e sociale, in cui si svolge la nostra vita. Coscienza, sta bene, se essa non si limita a quella psicologica o puramente egoistica, ma si solleva al livello morale, ch’è illuminato dalla luce di Dio; responsabilità, sta bene, se essa conserva la visione integrale dei vincoli a cui dobbiamo osservanza, siano essi personali, o sociali, o religiosi. Noi pensiamo che questa sacra parola, che suona dovere, non dovrebbe essere abolita dal nostro pensiero e dal nostro linguaggio, specialmente quando, come noi ora, vogliamo rinnovare in noi il senso cristiano: essa è parola piena di forza, di onore, di amore, e di fiducia, parola, che dovrebbe essere stampata, come fecero i grandi, gli eroi, ed i santi nel cuore dell’uomo: io devo!
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